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NAPOLI – Maria Luisa Iavarone, docente di pedagogia presso l’Università Parthenope ma prima ancora mamma di Arturo, il ragazzo scampato miracolosamente alla morte dopo essere stato accoltellato alla gola e a un polmone nel 2017, è stata la prima, subito dopo l’istituzione del Reddito di Cittadinanza, nel 2019, a sollevare la mano e ad eccepire che non doveva andare nelle tasche di chi non manda i propri figli a scuola. Lo testimonia, tra l’altro, il libro che scrisse l’anno successivo con Nello Trocchia, “Il coraggio delle cicatrici”.

Oggi, quindi, si ritrova dalla parte della vicesindaca Mia Filippone che vorrebbe questa misura anche a Napoli (sul tavolo interistituzionale della Prefettua c’è il modello-Catania, come spiegato ieri ad Anteprima24 dal direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale, Ettore Acerra).

Sta con lei e in contrapposizione, quindi, all’assessore alle politiche sociali in quota 5 Stelle Luca Trapanese che, invece, nello stesso Palazzo, difende a 360 gradi il sussidio.

All’interno della giunta Manfredi, quindi, si profila uno scontro politico vero, probabilmente il primo dall’inizio dell’amministrazione dell’ex rettore tra l’anima riformista e quella più conservatrice della stessa maggioranza.

L’importante è che non sia solo uno scontro ideologico ma che alla fine ne scaturisca qualcosa di concreto – dice la professoressa Iavarone – Togliere il Reddito di Cittadinanza a chi non manda i bambini a scuola è una misura limite, ma andrebbe perseguita nell’ambito di una serie di interventi a monte e a valle per combattere la devianza giovanile”.

“Dovrebbe essere una misura di responsabilità civile, con il Comune che dovrebbe istituire nell’ambito del Corpo dei Vigili Urbani una squadra speciale, magari per lo più composta da donne, col compito di andare a bussare alle porte delle famiglie con evidenti incurie educative, segnalarle e farle poi aiutare. Ad oggi, la cartolina e la multa servono a poco. Lo Stato deve essere di carne ed ossa pure in quei quartieri dove ci sono sacche di povertà così grosse che la gente abita anche in palazzi senza numero civico. In tal senso, sarebbe utile una polizia davvero di territorio, una polizia educativa”.

Per la Iavarone, restando così invece le cose, a poco servono anche misure come quella promossa dall’assessore regionale Lucia Fortini per tenere le scuole aperte tutto il giorno. “Questa politica è in campo da vent’anni. Ma che effetti ha dato? Quanti bambini ha fatto recuperare a una frequenza regolare?”

Il rischio, secondo Iavarone, è che si rimanga prigionieri della logica dei “contributi a pioggia che vengono pure spesi, ma non portano a reali risultati”.

Ci sarebbe una rendicontazione sociale da fare per le politiche che si perseguono sul territorio. Ma, purtroppo, anche il Patto Educativo rischia di andare nella stessa direzione: si spendono i soldi al di là dei risultati che si raggiungono”.

Cambiare registro, allora, propone la mamma di Arturo. Cominciando ad utilizzare quello elettronico delle scuole che, con una informatizzazione del sistema, indichi subito i bambini a rischio.

“Questo per avere dati reali in base ai quali intervenire. E per evitare di sentire quelle mamme che giustificano l’assenza a scuola dei loro figli dicendo che la mattina non hanno voglia di alzarsi dal letto”.