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NAPOLI – Napoletana, 61 anni, laurea in Lingua e letteratura moderna alla Federico II, già presidente dell’associazione dei Costruttori Edili di Napoli, Federica Brancaccio ora tenta la scalata a livello nazionale.

Lo fa segnando già due record: è la prima volta che si candida a presidente dell’Ance un imprenditore del Sud. Ed è la prima volta di una donna.
 
Il suo sogno, da presidente nazionale degli edili, sarà quello di mettere questo comparto così importante al centro del villaggio Italia.
 

La filiera delle costruzioni, del resto, tocca quasi il 90% dei settori produttivi e rappresenta, incluso l’immobiliare, il 22% del Pil. L’Ance, di conseguenza, raccoglie quasi 400mila imprese per 1 milione e 400mila addetti.

Il programma elettorale della Brancaccio, per questo, parla chiaro: l’associazione deve essere al centro del rapporto con le istituzioni con una sua “visione”. Già: perchè, secondo lei, anche gli edili possono essere espressione di interessi generali con un programma che ha l’ambizione di delineare lo sviluppo del Paese.
 
E specificatamente per Napoli e la Campania?
 
Federica Brancaccio è una delle coautrici di ‘Napoli 1990-2050’, il libro a cura di Attilio Belli che raccoglie una serie di saggi sul tema “dalla deindustrializzazione alla transizione ecologica”.
 
E nelle pagine che firma lei, suggerisce, oltre quello per i suoi colleghi, anche un altro programma: a beneficio dell’amministrazione del sindaco Gaetano Manfredi.
 
Dopo “il risanamento economico, la riorganizzazione della macchina amministrativa e la nomina della Commissione per il Paesaggio“, Brancaccio propone la “riqualificazione del patrimonio immobiliare pubblico e privato”. Ed è impossibile non notare che Palazzo San Giacomo ha in effetti firmato prima (il 29 marzo) il Patto per Napoli e poi (il 13 aprile) la partnership con Invitalia con questi obiettivi. 
 
Sta di fatto che, poi, Brancaccio mette all’ordine del giorno la diffusione del 5G, il superamento del piano urbanistico del 2004, l’aggiornamento del Regolamento edilizio, lo studio di un nuovo rapporto ibrido centro/periferie con la concretizzazione del Piano strategico di Sviluppo della Città Metropolitana (“scandendo finalmente una suddivisione in zone urbane omogenee che riconosca caratteri e vocazione del territorio al di là di semplici limiti amministrativi comunali“), la risoluzione del nodo Bagnoli (“il cui vuoto nel tessuto urbano non è concepibile oltre“), la promozione dell’evoluzione di Napoli est “da area industriale a quartiere urbano del XXI secolo”, la “definizione, il rafforzamento e l’infrastrutturazione della vocazione turistica della città con una visione, un modello di sviluppo su misura che guardi a trent’anni”, la realizzazione di “una infrastruttura verde urbana e metropolitana che assuma il principio dello stop al consumo di suolo“, l’avvio delle Zone Economiche Speciali a scala urbana e metropolitana: “Dal porto a Bagnoli, da Napoli est fino all’aeroporto, l’interporto, il porto di Castellammare e la costellazione di aree produttive da connettere in un innovativo modello riferito agli smart landscape.
 
Già, perchè, secondo la Brancaccio, ragionare in termini di smart city non basta più.
 
Il 26 aprile, all’Ansa, l’imprenditrice napoletana che vuole guidare il comparto edile nazionale confidava che a Napoli “serve l’ottimismo della volontà, non logiche di piccolo cabotaggio politico”.