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Napoli – Nicò questo ovviamente noi non potremo mai saperlo. Anche se segretato: 37367 del 2017. Giudice Arlomede“. Così l’imprenditore napoletano Crescenzo De Vito informava nel gennaio 2019 il consulente Nicola Schiavone, ritenuto prestanome di lunga data del capo dei Casalesi Francesco “Sandokan” Schiavone, di un’indagine anticamorra che li riguardava, e che oggi li ha portati entrambi agli arresti (35 in totale gli arresti). Per Nicola Schiavone, il Gip di Napoli Giovanna Cervo ha disposto il carcere per associazione mafiosa e reati relativi ad appalti di Rfi finiti ad aziende colluse, per De Vito i domiciliari in relazione proprio alla rivelazione del segreto istruttorio. Per quest’ultima contestazione sono indagati anche l’avvocato Matteo Casertano del foro di Napoli Nord – finito ai domiciliari – il funzionario dell’Istituto di Credito Banca Popolare di Torre Del Greco Francesco Chianese, per il quale il Gip ha disposto il divieto di esercitare attività bancaria e creditizia per sei mesi, e un carabiniere in servizio alla Procura di Napoli, per il quale il Gip deciderà su eventuale sospensione dal servizio dopo l’interrogatorio di garanzia che si terrà nei prossimi giorni.
Secondo quanto ricostruito dalla Procura partenopea (sostituti Antonello Ardituro e Graziella Arlomede), a diffondere per primo il segreto investigativo sarebbe stato il bancario Francesco Chianese, che nel settembre 2018 riceve il decreto di esibizione di documenti da parte della Dda di Napoli relativo a varie aziende che hanno conti nella banca, tra cui la Macfer srl di De Vito. Nel decreto sono riportati il numero del procedimento penale, il magistrato procedente e la polizia giudiziaria delegata, e il funzionario passa queste informazioni a De Vito; questi si rivolge quindi al cugino, l’avvocato penalista Casertano che a sua volta compulsa il carabiniere della Procura per avere info più approfondite sull’indagine. Tutte le notizie riservate che De Vito riesce a sapere le gira a Nicola Schiavone, e ciò emerge dalla rilevante conversazione del 7 gennaio 2019, in cui De Vito e Schiavone parlano di “RG”, riferendosi al registro generale delle notizie di reato; i due abbassano la voce per paura di essere intercettati, ma i carabinieri annotano e accertano che il primo dà al secondo le cifre del fascicolo e il nome del pm e anche il reparto dell’Arma procedente (“Comando Carabinieri Caserta”).

Allora loro devono avere tutta la documentazione, tanto noi facciamo quello che abbiamo fatto venti trent’anni fa” dice Schiavone; “ci colleghiamo all’indagine” gli fa eco De Vito. I due pensano che si tratti di roba vecchia. “Da 15 a 20 anni a questa parte, non ci sono reati penalmente rilevanti” sottolinea Schiavone cercando di tranquillizzare De Vito. “E’ colpa di Cosentino” dice quest’ultimo De Vito. Gli indagati hanno provato ad avvicinare anche un altro carabiniere in servizio fino al maggio 2020 alla segreteria del Procuratore, ma il militare non si è mai prestato al gioco, come confermato in un interrogatorio al pm.

Figurano anche un paio di costosi gemelli d’oro di Cartier, del valore di 600 euro, tra i beni che un ex dirigente di RFI avrebbe ricevuto in cambio dei suoi “servigi”. La circostanza emerge dall’ordinanza con la quale il gip di Napoli Giovanna Cervo ha disposto, complessivamente, 35 misure cautelari, nei confronti, tra gli altri, di imprenditori ritenuti in rapporti d’affari con il clan dei Casalesi (fazione Schiavone), dirigenti all’epoca dei fatti di Rete Ferroviaria Italiana.
Nell’ambito “di un duraturo rapporto corruttivo“, scrive il gip (l’inchiesta spazia da gennaio 2018 a inizio aprile 2019) i funzionari indagati avrebbero ricevuto doni alimentari, cravatte di pregio, oggetti di vario tipo, soggiorni alberghieri e costose cene. Due ex dirigenti, inoltre, avrebbero ottenuto periodicamente, somme di denaro in contanti, di circa mille euro mensili.
Per tutti, infine, Nicola Schiavone si era offerto di intercedere presso i vertici di RFI con i quali era in rapporti, per sostenere le carriere dei funzionari.