Benevento – Erano quattrocento. Per loro la partita è durata mezz’ora, o forse non è mai iniziata. Si sono divertiti colorando il settore sulle note di una playlist che spaziava dagli U2 a Bon Jovi, passando per le immancabili nuove proposte della musica italiana. Il dj del Benito Stirpe ne aveva per tutti i gusti, ha alzato il volume per trenta minuti dando l’illusione che pure la partita sarebbe stata una danza. Ma quando gli altoparlanti si sono spenti lasciando spazio ai suoni del campo, lo scenario è completamente cambiato. Sì, subito un guizzo di Moncini a tenere alta l’aspettativa, ma nulla più di un picco isolato, di un ruggito nel deserto. Palla abbondantemente alta sopra la traversa, qualcosa di tanto simile a una trasformazione rugbistica, forse in omaggio all’Italia della palla ovale che aveva appena battuto a sorpresa il Galles. Poi il nulla, solo Frosinone, e i motivi non sono poi così difficili da individuare.
Il volto cupo di Acampora e Letizia a fine partita davanti alle telecamere parla più delle parole pronunciate. “Hanno meritato loro”, dicono, “perché avevano più fame di noi”. Non è uscita dalla loro bocca, ma la parola ‘figuraccia’ ci sarebbe stata bene. Novanta minuti di dominio subìto, l’ennesima lezione tattica di Fabio Grosso che ha replicato l’exploit dell’andata (4-1), rischiando seriamente di migliorarlo nel punteggio, se non fosse stato per il solito Paleari. Reparti sfilacciati, lanci lunghi senza destinazione, ritardo costante sulle seconde palle, difesa esposta agli innumerevoli inserimenti degli esterni frusinati, attacco isolato, moduli improvvisati, sia all’inizio che a gara in corso, centrocampisti a brancolare nel buio. L’elenco interminabile di svarioni si riassume in un assunto: la Strega non ha toccato palla.
Il gioco del Benevento non ha un filo conduttore da mesi, non lo ha avuto neppure nelle vittorie. E pazienza che Caserta dribbli il problema con una certa agilità. “Sento sempre parlare di spettacolo, io non sono pagato per fare spettacolo, sono pagato per fare le cose semplici e portare a casa il risultato”, aveva detto dopo il successo con il Crotone, solo una settimana fa. Non sappiamo se nel corso della sua permanenza abbia dato un’occhiata agli spalti, a quanto sono desolatamente vuoti e a quanto sia tristemente difficile convincere i tifosi a tornare allo stadio. Il suo presidente lamenta una diffusa disaffezione della piazza pur non mancando di apprezzare chi non molla mai e resiste sui gradoni. Ma quei duemila ci saranno sempre per amore, sono gli altri che vanno convinti. Quelli disposti a pagare solo se gli viene offerto un prodotto di cui vale la pena godere. Non soltanto per un gol segnato in più rispetto all’avversario. Qualcosa che li spinga a divertirsi oltre la playlist del prepartita, che li faccia tornare a casa col sorriso stampato in faccia e la voglia di farlo di nuovo. Si chiama coinvolgimento. Qualcosa di cui da inizio stagione, nonostante l’organico migliore dell’intero campionato, a Benevento non c’è traccia.