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Rivalutare i prodotti della ruralità restituendo loro il giusto spazio nel mercato agroalimentare. E’ l’obiettivo di POIGA (Progetto Operativo Innovativo Grani Antichi), i cui progressi sono stati presentati questa mattina in un workshop presso il l’Aula Ciardiello dell’Unisannio. Moderato dal giornalista Pasquale Carlo, l’evento è stato introdotto dal Rettore Gerardo Canfora e dal direttore del Dipartimento Demm (che ha sostenuto la riuscita del progetto), il professor Massimo Squillante. Entrambi hanno posto l’accento sull’incidenza dell’ateneo nella formazione dei lavoratori del futuro, sottolineandone al contempo la funzione di ‘ascensore sociale’. 

Il piano finanziato dal Programma di Svilippo Rurale 2014/2020 della Regione Campania ha interessato un alimento che negli ultimi decenni è stato offuscato dal boom dei consumi di massa ma che potrebbe tuttavia tornare ad occupare un posto di primo piano in un mercato sempre più orientato ai prodotti della tradizione contadina. 

Occasione di riflessione sul tema e di presentazione di idee ed elaborazioni, l’appuntamento odierno è stato sintetizzato ai microfoni di Anteprima24 da Giuseppe Marotta, Direttore Scientifico del progetto: “Di fronte a un’attenzione crescente dei consumatori la migliore risposta è la valorizzazione delle varietà tradizionali di grani antichi, la loro caratterizzazione e infine la ricostruzione di una loro funzione economica. Stiamo sperimentando insieme a quattro aziende un modello che interessa sia i grani che le farine. Una volta terminata la fase sperimentale, lo step successivo è la promozione di questo modello in altri territori, e in altri settori, penso ad esempio alle coltivazioni cerealicole”.

Ogni ragionamento non può prescindere dalla condizione di lavoro dell’azienda agricola in senso stretto, a cui la filiera produttiva non riconosce il valore che effettivamente meriterebbe. “Il ricavo per ciascuna di esse è sempre troppo basso rispetto agli altri componenti della catena. Il rapporto è 6 euro su 100 euro, un dato che spinge le attività a riflettere sulla chiusura – ha proseguito Marotta – E se chiudono, non solo non si alimenta la filiera ma si avvantaggiano le cosiddette frodi alimentari di cui le cronache parlano sempre più spesso. Le aziende agricole, essendo allocate in zone periferiche delle aree interne, hanno poco potere contrattuale rispetto alle grandi aziende. Ne consegue una dannosa asimmetria, sia per loro a livello di guadagno, che per il consumatore finale”. 

Il progetto POIGA ha dunque uno scopo collaterale che si traduce nella salvaguardia del territorio. Distribuire equamente il valore dei prodotti a tutti gli attori della filiera permetterebbe di conseguenza alle piccole aziende agricole di continuare a svolgere un compito utile alla collettività, basato sulla tutela dei terreni su cui insistono. Un ruolo di presidio, indispensabile alla prevenzione del dissesto idrogeologico oltre che di contrasto – seppur parziale – al triste fenomeno dello spopolamento: “Se c’è un’azienda, oltre ad esserci lavoro per chi la conduce, c’è anche la cura del terreno del paesaggio circostanti che non vengono dunque abbandonati a se stessi. Il fatto che ci sia un’azienda è una forma di garanzia importante per far fronte ad eventuali disastri collegati a eventi naturali. Le aziende vanno preservate perché svolgono mansioni extra-mercato fondamentali per la vita di ciascuno di noi e delle stesse zone che abitiamo”, ha concluso Marotta.  

Una spinta importante al programma è stata data da Slow Food Campania, che ha partecipato al convegno nella persona del presidente Angelo Lo Conte: “Crediamo nella salvaguardia della biodiversità e nella produzione sostenibile. Poniamo attenzione a tutti i prodotti agricoli, in questo caso specifico la filiera cerealicola viene arricchita da queste esperienze di studio con dati che possono essere degli strumenti utili per tutti i cerealicoltori”. Non solo, Lo Conte è convinto che quanto prodotto possa essere uno spunto per le nuove generazioni: “Il progetto Poiga vuole essere un modello anche per i giovani, come Slow Food Campania ci stiamo concentrando tantissimo su tutte le criticità che stanno attraversando le aree interne e questo vuole essere un modello da mettere a disposizione di tutte le filiere agricole campane per offrire ai giovani sul territorio un’alternativa a quella che è la soluzione più praticata, l’emigrazione verso altri territori”. 

Grani tradizionali come la Saragolla, la Marzellina, la Romanella e la Ianculedda erano coltivati un tempo e sono stati reintrodotti oggi nel Sannio, in Irpinia e nel Cilento. Una dimostrazione pratica è stata data subito dopo l’incontro svoltosi nell’Aula Ciardiello del Dipartimento DEMM quando i protagonisti del workshop e gli auditori si sono recati presso l’Azienda Agricola “Nunzia Veronica Iannelli” di Contrada Roseto, uno dei partner del progetto insieme a Resce S.r.l., Terra di Resilienza Cooperativa Sociale A.R.L., Azienda Agricola Leppa Margherita, Azienda Agricola Montemarano Maria Grazia, Azienda Agricola Riccio Carmela.