NAPOLI – “L’urbanistica non è più popolare: è percepita solo come un sistema di regole, spesso anche incomprensibili, che impone troppo tempo tra le aspirazioni dei cittadini di vedere migliorare il loro territorio e la realizzazione concreta dei vari progetti per la città. Ora, per me, i Piani Urbanistici rimangono fondamentali. Ma, in attesa che maturino le condizioni per attuare un grande progetto di trasformazione urbana, perchè non pensare a usi temporanei di quegli spazi?”
Michelangelo Russo, il direttore del Dipartimento di Architettura della Federico II, ospite di Marco Demarco a Studio Mattina su Canale 9, avrà preso spunto da una frase che il sindaco Manfredi ripete spesso. O magari sarà l’esatto opposto.
Fatto sta che la frase del primo cittadino è: “Il tempo non è una variabile indipendente”. E il professore, per spiegare la sua teoria che vede Napoli una possibile “città temporanea”, sembra prenderla a modello. Del resto, i rapporti con l’attuale amministrazione comunale, Russo li descrive con l’aggettivo “eccellenti”.
E tant’è: se non si può avere tutto e subito, per smuovere Napoli dal suo immobilismo, meglio fare qualcosa anche di piccolo e temporaneo, ma il prima possibile.
Ad esempio, a Bagnoli. Laddove il professore di urbanistica sostiene che la colmata a mare sia meglio non rimuoverla (e che “mai si rimuoverà”) perchè, nonostante la legge lo preveda, quest’operazione sarebbe “molto complicata e pericolosa dal punto di vista ecologico”.
Ricordato che anche Manfredi è alquanto scettico sul da farsi, Russo l’ha messa così: “La colmata è una meravigliosa terrazza sul golfo di Pozzuoli. Se fosse stata messa in sicurezza e aperta a fini temporanei, avremmo già potuto viverla e capire meglio la sua migliore utilizzazione. Un pò come il pontile, che è diventato una meravigliosa passeggiata a mare. L’uso che i cittadini ne hanno fatto indirizza anche la sua progettazione futura”.
La vocazione naturale di un luogo, si sarebbe detto. O anche, prendendo a prestito il pensiero di Attilio Belli, una sorta di nuovo laboratorio per una urbanistica partecipata. E per questo, di nuovo capace di affascianare.
Comunque: due esempi di Napoli temporanea. Il primo: area orientale, “magari mettendo a rete gli orti che la caratterizzano e facendone la base per la trasformazione urbana che da industrale deve far passare quella zona a un terziario avanzato all’insegna della ricerca e dell’innovazione, ma anche di case ben contestualizzate in un sistema ecologico”.
Il secondo: il centro storico, “dove, invece, si potrebbe puntare ad aprire e mettere a sistema, collegandoli con percorsi pedonali, cortili, chiostri e giardini che ora rimangono nascosti e sconosciuti ai più. Come quello del Monastero delle Trentatrè, dove è in atto già un master della Federico II”.
In attesa del nuovo piano urbanistico promesso da Manfredi (“nel centro storico serve – a detta di Russo – un piano che dia una strategia di intervento prevedendo anche nuove funzioni per spazi e edifici ora abbandonati”), una strada per evitare che l’urbanistica sia considerata solo un cumulo di scartoffie.