NAPOLI – Roberto Calise: napoletano classe 1987, laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali “fra”, come indica il suo cv, Napoli (L’Orientale), Parigi (Sciences Po) e Roma (Luiss), responsabile delle relazioni istituzionali di una multinazionale di trasporto passeggeri. Una passione per i treni.
“Non sarò particolarmente originale: nata col primo trenino Lego che mi fu regalato”.
Una passione per la politica.
“Anch’essa da sempre. Prima da rappresentante d’istituto al liceo, poi sul campo da semplice militante di partito”.
Una passione per Napoli.
“Per il territorio e la sua fruizione, specificherei”.
Una passione per l’Europa.
“L’unica ottica in cui può essere inquadrata la nostra città. Mi sono occupato di fondi europei al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. E ho lavorato al centro studi della Commissione Trasporti del Parlamento Europeo”.
Se si digita www.robertocalise.it, c’è una sezione intitolata “Con Trasporto”.
“Il sito vuole essere un tentativo di parlare di Napoli con passione, ma evitando quella auto-osservazione esasperata senza un riferimento problematico al mondo esterno, per dirla con l’antropologo Vito Teti: puntualmente sfocia nella demagogia pizza-sole-mandolino”.
Quindi ha scritto un libro che si intitola “La metropolitana europea“.
“Che parla della Linea 1 e del sistema della metropolitana di Napoli nell’ottica della Politica Comunitaria dei Trasporti”.
“Metropolitana”, che bella parola!
“Pur avendoci scritto un libro, cerco di prenderla il meno possibile. Uso le funicolari o la Linea 2 di Trenitalia: si attende di meno”.
E’ un miracolo prendere un treno della Linea 1.
“Perché l’Unione Europea si ferma sull’uscio”.
In che senso?
“La finanzia. Ma, naturalmente, non ha voce nel capitolo della gestione”.
Un peccato.
“Bruxelles ha detto ogni bene di quest’opera. Ma, già nel 2018, ha avvisato che, gestendola in maniera così deficitaria, si mette a rischio il beneficio complessivo che quest’opera porta alla città”.
Prima ancora del 2018, era intervenuta la Corte dei Conti Europea e poi quella italiana.
“Finora, per realizzarla, ci sono voluti 4 miliardi di euro”.
E quanti anni?
“Stiamo in ballo dal dicembre 1976, quando fu inaugurato il primo cantiere”.
Si capisce allora perché cita Flaiano: “In Italia, la linea più breve tra due punti è l’arabesco”.
“Più precisi, con la burocrazia che ci ritroviamo, non si poteva essere: Flaiano, un genio”.
Ma la Metropolitana di Napoli è un’opera per geni, la più difficile del mondo?
“Indubbiamente difficilissima, studiata in ogni dove”.
La geografia, la geologia, la storia, la sociologia, la finanza, la politica: tutto lo scibile umano gioca contro?
“La metropolitana di Napoli è una continua sfida non solo perché la città, nei secoli, è stata costruita svuotando il suo sottosuolo per le cave di tufo o perché, scavando, riemergono continuamente resti archeologici. Ma anche perché qui c’è il mare. E almeno quello, a Roma o Atene, se lo risparmiano”.
Enzo Amendola, nella prefazione del suo libro, spiega comunque che “il futuro di Napoli passa dal binario che la collega con Bruxelles”.
“Infatti, la sfida, sotto l’aspetto finanziario, finora, è stata vinta solo grazie all’Europa che ha sborsato più di 1 miliardo di euro”.
Un miliardo di euro? “Oh, anime del…“: viene da citare il milione del suocero di Bellavista, è la stessa cifra del Salva-Napoli.
“Senza voler far sobbalzare nessuno, il Comune ha acceso dei mutui per integrare quelle somme”.
Tuttavia, passando a Vittorio Del Tufo: “A Napoli, la metropolitana non si prende, si contempla”.
“I fondi per la gestione sono pochi. Per questo i treni e le corse sono così diradati”.
E’ un pozzo senza fondo o c’è un colpevole?
“E’ un tema di visione, di credere nel trasporto pubblico. Qui, soprattutto negli anni di De Magistris, le istituzioni nemmeno si sono parlate. Si sono persi 10 anni”.
La stazione di Poggioreale avrebbe dovuto essere aperta nel 2022.
“Previsioni che non riflettevano l’effettivo avanzamento dei lavori”.
Dice che era un sogno già prima del crollo avvenuto nel cimitero?
“Secondo quanto previsto dal progetto del 2012, Poggioreale doveva essere l’ultima stazione ad aprire della tratta Centro Direzionale – Capodichino”.
A Chiaia, il crollo del 4 marzo 2013 del palazzo Guevara – anch’esso causato da infiltrazioni d’acqua – fermò il cantiere della Linea 6 per due anni.
“E’ in campo la magistratura, non so quanto tempo ci vorrà per Poggioreale. In ogni caso, si era ben lontani da un’inaugurazione”.
Colpa del Sebeto (come al solito), il fiume sotterraneo che attraversa Napoli, come ha scritto Pietro Gargano?
“Si sapeva della presenza del fiume nella zona, tant’è che i lavori di impermeabilizzazione della contigua e già esistente stazione della Circumvesuviana sono stati affidati proprio al Consorzio che sta scavando la Linea 1”.
Nulla di nuovo.
“Beh, questo, avendo a che fare col sottosuolo di Napoli, non direi. In quell’area, è riemersa anche la galleria della vecchia linea Napoli – Foggia, aperta nel 1867”.
Il Paese era molto giovane/I soldati a cavallo era la sua difesa/Il verde brillante della prateria/dimostrava in maniera lampante l’esistenza di Dio/del Dio che progetta la frontiera e custodisce la ferrovia.
“Più o meno l’epoca di Bufalo Bill, sì”.
Quando si chiude l’anello della linea 1?
“Quando anche la Regione completa le parti di sua competenza: il tratto Piscinola-Capodichino va alquanto a rilento. O, quantomeno, si hanno poche notizie”.
Magari i De Luca boys lavorano sottoterra e sotto silenzio. Chi lo sa?
“In realtà, quello della comunicazione è un altro grande problema della metropolitana di Napoli. A Torino, per i lavori della Linea 1, fecero un sito che informava in tempo reale dello stato dei lavori: vinse un premio come miglior sito internet d’Italia. E parliamo di 15 anni fa. Qui, non si è mai investito nell’informazione ai cittadini”.
Tuttavia, il sindaco Manfredi è stato chiaro e preciso per la linea 6: “Quest’anno, signori in carrozza”.
“L’infrastruttura è pronta. Ma mancano proprio le carrozze: i treni. Nonché il loro deposito”.
L’Europa non smette di crederci: col Corridoio 9 Scandinavia-Mediterraneo, Napoli è stata destinata a rivestire un ruolo strategico.
“La metro serve a collegare le diverse porte d’accesso alla città: l’aeroporto, la stazione centrale e il porto. Quindi è perfettamente inserita nel ragionamento che si fa a Bruxelles”.
Che si dice a Bruxelles?
“Che se ne fanno i cittadini di un treno super veloce che collega Stati diversi se poi impiegano ore a raggiungere la stazione della loro città?”.
Da qui alla fine, le domande che le farebbe un bambino di Milano.
“Vediamo se ho una risposta”.
Perché a Milano si è inaugurata la Linea 5 – quella che collega San Siro – e a breve apre la Linea 4 – che collega Linate – entrambe automatizzate, senza macchinista, e a Napoli no?
“Per un scelta progettuale. Tuttavia, l’assessore Edoardo Cosenza vorrebbe automatizzare – giustamente – la linea 6”.
Per le altre?
“E’ molto difficile. Finora l’ha fatto solo Parigi, riconvertendo la sua linea 1. Dovrebbe decidere la politica”.
Perché i treni della Linea 1 di Napoli fanno tanto rumore?
“Per vari motivi. Perché i binari, spesso, hanno raggi di curvature stretti e quindi le ruote impattano di più sul ferro. Perché le gallerie sono più strette, spesso a canna unica, e il rumore rimbomba di più. E poi perché sono in uso treni vecchi. Senza insonorizzazione e col ricambio d’aria naturale: non c’è aria condizionata e i finestrini devono rimanere aperti”.
Perché i telefoni non hanno linea?
“Perché fa parte della tortura dell’attesa infinita di aspettare il treno”.
Buona questa.
“Scherzi a parte. Perché le stazioni sono molto profonde: anche 40 metri. E sarebbe occorso un capitolo di spesa ai progetti intitolato: “Ripetitori”. Non è facile, ma non so se onestamente ci abbiano mai realmente pensato”.
Sarebbe utile anche per una questione di sicurezza.
“A dire la verità, nella tube di Londra hanno disattivato appositamente il campo per evitare che malintenzionati e terroristi possano comunicare e/o che qualcuno possa diffondere fake news capaci di generare panico”.
Non a caso gli inglesi hanno il senso di marcia a sinistra.
“In effetti, questo di Londra è l’unico esempio”.
Tornando a Napoli. Perché è difficile fare anche il biglietto?
“Per una programmazione e una politica sbagliata. E pensare che Napoli è stata la prima a mettere in campo il Biglietto Unico e a banda magnetica.
Ha fatto la fine del bidet inventato dai Borbone.
“Bassolino creò il Consorzio Unico Campania, indicato nel 2001 come buona pratica dal Libro Bianco dei Trasporti della Commissione Europea”.
Poi cosa è successo?
“Caldoro, una volta in Regione, introducendo i biglietti aziendali, ha di fatto depotenziato il Biglietto Unico con il plauso delle varie aziende che trovano più conveniente vendere ognuna per sé il biglietto per la propria tratta anziché mettere i soldi in un salvadanaio comune e poi vederseli ripartire”.
Crediamo di essere sempre i più furbi di tutti.
“Fu una scelta per le società/gestrici e contro i cittadini/utenti”.
Detta così…
“Il Biglietto Unico, comunque, c’è ancora. Non lo sa quasi nessuno, ma c’è ancora”.
Perché c’è la linea 1, la linea 2 e poi si salta alla linea 6? Le altre che fine hanno fatto?
“In effetti questa numerazione andrebbe superata: riflette il Piano Comunale dei Trasporti del 1997 ed è fallita: non è nel sentire comune degli utenti. Lancio una proposta per una nuova denominazione”.
Prego.
“Napoli, in realtà, ha solo 3 linee metropolitane vere. La 1, quella del grande anello ma che ad oggi collega fino a Piscinola, che dovrebbe rimanere Linea 1. La Linea 2, che dovrebbe essere la Piscinola-Aversa. E la Linea 3, che dovrebbe essere l’attuale 6″.
E quella che è oggi la linea 2?
“Quella non è una metro in senso stretto. E’ un passante ferroviario, che andrebbe potenziato per migliorare il collegamento con la provincia”.
Perché, ad ogni fermata, non si sente la speaker che avvisa della stazione in cui si è giunti in quel momento e la prossima?
“Perché per farla funzionare occorrerebbe una tecnologia integrata che ad oggi Napoli non ha. In cambio, ha 4 diversi gestori dei suoi trasporti: Eav, Anm, Ctp e Trenitalia”.
Auguri.
“Ne occorrono”.
Magari per diventare come…
“Medellin”.
Medellin?!
“Sì. La seconda città della Colombia ha un trasporto pubblico efficiente ed interconnesso con tanto di funivie urbane”.
Giù il cappello.
“In questo modo, sono riusciti a rompere anche l’isolamento delle favelas, un tempo il regno dei narcos: ora anche un bambino può muoversi facilmente da un capo all’altro della città”.
Il trasporto pubblico non sposta solo persone, sposta destini.
“E Napoli deve tendere a modelli simili. Ma serve coraggio e visione politica”.