C’è una tenerezza ostinata nella voce di Dario Brunori, alias Brunori Sas. È una tenerezza che non chiede permesso per entrare, ma lo fa comunque in punta di piedi, con la discrezione di chi sa che le parole più forti sono quelle sussurrate. Ieri sera al ‘Palapartenope‘ di Napoli, in una serata sold out, il cantautore calabrese ha dimostrato ancora una volta di essere un poeta gentile, capace di porgere le sue canzoni con una delicatezza pressoché impercettibile, eppure potente.
L’ingresso sul palco è stato un piccolo manifesto della sua poetica: senza entrate ad effetto, è salito con le luci ancora accese, quasi a voler abbattere il diaframma che lo separava dal suo pubblico e scegliendo di cantare il primo brano cercando il contatto visivo con ogni spettatore.
Napoli, città di contraddizioni e passioni travolgenti, ha accolto l’artista – seppur con ritardo “perché la gente se l’è presa con una certa calma, strano per noi del Sud” scherza – con la sua solita esplosività emotiva, rispecchiandosi nelle sue canzoni che raccontano le fragilità di un uomo che non ha paura di inciampare, di ‘amare male’, di continuare a sperare nonostante tutto. Un uomo che si pone costantemente domande sul senso della vita e sul disincanto, ma che continua a salire sul ring, anche col rischio di perdere. E proprio ‘Il pugile’, uno dei suoi brani più iconici, è la metafora perfetta di questa continua battaglia personale.
Reduce dal successo al Festival di Sanremo, Brunori non ha potuto fare a meno di ricordare quell’esperienza, e lo ha fatto con la sua consueta ironia: “Dopo che sono stato lì, in quella riviera ligure, la piega di questo concerto rischia di diventare nazional popolare, anzi nazipop direi”. Un commento che, seppur con tono scherzoso, non nascondeva la riflessione sull’enorme visibilità che quell’evento porta con sé, sicuramente distante dalla sua dimensione più intima e personale ma che non ha tolto al cantautore la capacità di mantenere in qualsiasi contesto un rapporto ottimale con la sua gente.
Brunori Sas non è un cantautore che si nasconde dietro la maschera dell’artista misterioso; apre al pubblico la porta della sua vita e invita tutti ad entrare, senza filtri, ma con il coraggio di chi sa che la condivisione è la più grande forma di resistenza alla solitudine.
Le sue canzoni sono pagine di diario lette ad alta voce, un racconto fatto di momenti di vulnerabilità, di emozioni.
E così il cantautore intona ‘Guardia 82’, tra i suoi brani più amati, ma anche ‘Il costume da torero’, ‘La vita com’è’, ‘Più acqua che fuoco’ e così via per due ore precise di concerto. Su ‘Per due che come noi’ il palazzetto di Fuorigrotta canta a squarciagola, è il racconto di cosa voglia dire stare tanto tempo con una persona, amarla, condividerne spazi e odori.
Con il suo sorriso contagioso, Brunori ha il dono di far sentire chi lo ascolta parte della sua esistenza, un filo invisibile che ci collega alle sue esperienze, ai suoi dubbi, alla sua ironia, che in fondo è quella che salva tutti noi. L’artista, accompagnato dagli otto componenti di una band validissima, ha interagito spesso con i suoi fan, ha letto dediche, ha ringraziato tutti dopo ogni brano. Un dialogo costante, un contatto autentico, che ha fatto sentire ogni spettatore parte di un’esperienza unica.
In chiusura non poteva mancare ‘L’albero delle noci’, il brano dedicato alla figlia Fiammetta che ha portato sul palco dell’Ariston.
Con ogni canzone, Brunori ha portato avanti la sua missione: cambiare il mondo con un pugno di poesie. E ieri, sotto i riflettori del Palapartenope, ha dimostrato ancora una volta l’intensità della sua vocazione, viva e pulsante proprio come la sua voce, che trema quando deve, esplode quando serve e consola con la stessa dolcezza di chi sa che, a volte, è solo nella fragilità che troviamo la forza di andare avanti.