La Corte dei conti della Campania impugna le norme della Regione sui compensi accessori agli staffisti. Con un’ordinanza del 3 marzo scorso, la sezione controllo ha sollevato questione di legittimità costituzionale su tre norme della Campania. Sono relative alla finanziaria regionale del 2012, e alle modifiche approvate nel 2021, ad opera dell’attuale consiglio regionale. Nel contempo, l’ordinanza della magistratura contabile ordina la sospensione del giudizio di parificazione sul Rendiconto 2023 della Regione, con riferimento ad un solo capitolo di spesa. Vale a dire “limitatamente alle spese destinate al finanziamento dell’unico emolumento omnicomprensivo” per il personale degli uffici di diretta collaborazione. Il ricorso per via incidentale è ora all’esame della Consulta. Le presunte violazioni concernono gli articoli 81, 97 (comma 1), 117 (comma 2 lettera L) e 119 (comma 1) della Costituzione.
Nel mirino è finita la disposizione relativa a tutte le voci del trattamento economico accessorio: sono sostituite da un unico emolumento omnicomprensivo, da corrispondere mensilmente, parametrato alle attività effettivamente assegnate. Tale indennità remunera anche la disponibilità a orari disagevoli, nonché le conseguenti ulteriori prestazioni richieste dai responsabili degli uffici. A rischio cancellazione c’è pure un’altra previsione: assegna all’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale il potere di determinare i criteri di individuazione dell’ammontare dell’emolumento, e le modalità di erogazione. Secondo la Corte dei Conti, così si violerebbe la riserva di competenza esclusiva del legislatore statale. Le perplessità partono da lontano, già dalla parifica del Rendiconto 2022. Nel corso dell’istruttoria, sono emersi profili di “dubbia legittimità costituzionale”.

Tra gli approfondimenti svolti all’epoca, quello sulla “compatibilità” tra legge regionale del 4 marzo 2021 e una sentenza della Corte Costituzionale, emessa nel 2019. Quella pronuncia di 6 anni fa aveva già dichiarato incostituzionali alcune parti di due leggi della Campania. Motivo? “Avevano previsto – ricorda la Corte dei conti – indennità aggiuntive proprio per il personale assegnato alle dirette dipendenze degli organi politici, per violazione del riparto di competenza”. Ma i dubbi dei magistrati non sono stati dissipati neanche dopo. “Nel corso del contraddittorio sviluppatosi al riguardo con l’Amministrazione (regionale, ndr) – spiega l’ordinanza – quest’ultima non forniva elementi utili al superamento dei rilievi sollevati dalla Sezione”. La questione si è trascinata per un anno, con “un maggiore approfondimento” della Corte. Un’analisi da condurre “nell’ambito dei successivi cicli di parifica”. In tal modo, si è arrivati ai giorni nostri. La Corte dei conti ritiene illegittime le norme campane, tra l’altro, perché disporrebbero “l’istituzione di un trattamento accessorio” non previsto dal contratto nazionale di lavoro e dalla legge statale. “Uniche fonti legittimate – sottolinea l’ordinanza – a disciplinare il trattamento economico dei dipendenti pubblici”. Chiara inoltre la ragione del ricorso. “La violazione (…) – afferma – ridonda nella lesione dell’equilibrio di bilancio e della sana gestione finanziaria”. Adesso spetta decidere alla Consulta.