Lacrime e sciarpe azzurre, ricordi e occhi gonfi per Fabio Postiglione. In un clima struggente, Napoli ha dato l’addio al giornalista del Corriere della Sera. C’erano tanti mondi, anche distanti, a gremire la chiesa della Santissima Trinità di via Tasso. Li univa Fabio. Gli ultrà del Napoli e le forze dell’ordine. Gli avvocati e i colleghi cronisti. I politici e i ragazzi della parrocchia di don Gennaro Matino. Rette parallele, talvolta mai destinate a incrociarsi. Eppure riunite qui, fianco a fianco.
Amici accorsi da tutta Italia, per abbracciare la mamma, la moglie e i fratelli. Da Roma, Firenze, Benevento. Ciascuno è il frammento di una vita volata via troppo presto. Fabio il tifoso di curva, cresciuto nel mito di Maradona. Postiglione il cronista ragazzino, a scarpinare in Tribunale, per la giudiziaria del Roma. O anni più tardi, a organizzare l’edizione lucana del Corriere del Mezzogiorno. O ad Anteprima24 e all’agenzia Agi. Fin su a Milano, in via Solferino, tra i ‘capi’ della cronaca italiana del Corsera. La curiosità per l’esistenza, con le mille sfaccettature, ed anche complessità. La passione per la verità, da scolpire in un articolo. Gli amici, la gioia conviviale. I viaggi. I libri. Ricordando gli anni duri a Napoli, le minacce di camorra. Il suo profilo tenace e inflessibile. Il coraggio che non era incoscienza, bensì integrità. Ma anche l’eterno sorriso, a dispetto dei rovesci del destino. E gli scherzi in redazione, le lunghe ore da passare. Il tempo in attesa di chiudere un giornale. O rifarlo daccapo, se la cronaca imponeva. Pagine e soffiate, scoop e sudore di gavetta. Ma ovunque bandiere del Napoli, a tappezzare scrivanie e muri redazionali. Tanti ruoli, stagioni diverse della vita. Ma una faccia sola, mai cambiata in 44 anni. Quella di un giovane dallo sguardo sincero.
Flashback da vertigine del rimpianto, tra le navate della chiesa. C’è tutto il Roma, il quotidiano che l’ha allevato, poco più che ventenne. “Me l’affidò lo zio, fin da piccolo voleva fare il giornalista” dice lo storico direttore Antonio Sasso. “È troppo difficile per me parlarne al passato” confessa Fiorenza Sarzanini, vice direttore del Corriere. La voce è un po’ strozzata. Sapeva farsi voler bene Fabio. Aveva conquistato tutti anche a Milano, giurano. La chiamano empatia, è una dote innata. E poi il talento giornalistico, il fiuto per la notizia. Merce rara, nel giornalismo in crisi. Nella città meneghina, ieri s’è tenuto il primo di due funerali. Impossibile farne di meno, troppa gente premeva. Proprio a Milano, uno schianto in tangenziale l’ha portato via. Era la fredda sera del 28 gennaio, viaggiava sulla sua moto. Tornava a casa dalla redazione. Un’inchiesta chiarirà le responsabilità dell’autista di un Suv. Oggi invece è solo il giorno del dolore. Sulla bara una sciarpa e una maglia del Napoli, firmata dai calciatori. Applausi all’uscita sul sagrato, smorzati dalla commozione. Fabio Postiglione non sarà dimenticato. “L’amore non muore” aveva ripetuto dall’altare la moglie Valentina Trifiletti, anch’ella giornalista. E sembrava lei a consolare le centinaia di presenti.