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Un’esplosione in galleria, le urla, le lamiere, alle 19.08 del 23 dicembre 1984: furono 16 morti e 267 feriti. Sono passati 40 anni dalla strage del Rapido 904, e i parenti delle vittime chiedono sempre giustizia. “Quest’anno sono state riaperte le indagini, speriamo di conoscere finalmente la verità” dice Rosaria Manzo, presidente dell’associazione familiari. Non una commemorazione qualunque, quella di stamane alla Stazione Centrale di Napoli. Anche se si tiene ogni anno, da quattro decenni in qua. L’ansia di fare luce è ancora troppa. Perché una verità giudiziaria c’è, ma è considerata monca. Quattro condannati, tre di matrice mafiosa. Uno è Pippo Calò, il cassiere’ di Cosa Nostra. Con loro l’artificiere tedesco Friedrich Schaudinn. “Fu una strage dove lo Stato ha avuto collusioni e responsabilità non da poco” dichiara secco don Tonino Palmese, presidente della Fondazione Polis, una vita spesa in Libera con don Ciotti. “I famosi legami di cui si è sempre parlato, ma che non sono mai venuti fuori” rilancia Rosaria Manzo.

Da un lato la mafia, di fianco “chi altro?“. Nella ridda dei sospetti, c’è un compendio di quegli anni. Gli anni delle stragi impunite. Cosa Nostra, la camorra, l’eversione nera, la P2, la Banda della Magliana. E di apparati ‘deviati’ si vocifera da 40 anni. Da quella deflagrazione nella grande galleria dell’Appennino, subito dopo la stazione di Vernio. Antivigilia di Natale, in marcia tra Toscana ed Emilia Romagna. Il treno partì da Napoli, era diretto a Milano. A bordo lavoratori, famiglie. Gente in viaggio per le Feste. Come Enza Napoletano. Oggi ha 84 anni, in 40 anni ha girato l’Italia, non s’è persa una commemorazione. Ricorda “il buio, il boato”. Pochi istanti prima, invece, “si chiacchierava delle vacanze”. Per tutti i superstiti c’è un prima e un dopo strage. Uno spartiacque nella vita, fin troppo ovvio. “Non mi fermo” giura la signora Enza., “Probabilmente – aggiunge – non arriveremo a niente, però ci proviamo tutti insieme”.

Tre bambini tra le vittime. A perdere la vita molti napoletani. E allora, 40 anni dopo, qui il mantra è “verità”. Perché “il peso storico”, come ricorda Manzo, ancora schiaccia. La giovane presidente dell’associazione la chiama “strage cerniera”. Piombò tra la strategia della tensione, negli anni ’70, e le bombe mafiose anni ’90. Nella stessa galleria, anno 1974, ci fu l’attentato dinamitardo all’Italicus (12 morti). Secondo gli inquirenti, parte dell’esplosivo del rapido 904 fu usato altre volte. Per le stragi di Capaci e via D’Amelio nel 1992, per quelle del 1993 a Roma, Milano e Firenze. Ed anche nei falliti attentati all’Addaura, contro il giudice Falcone (1989) e allo stadio Olimpico di Roma (1994). “Cerchiamo una verità più faticosa della dimensione criminale del singolo attentato – sostiene don Palmese – perché di mezzo c’è una parte di Stato, che al tempo custodiva questi segreti per il malaffare“. Segreti, forse, tutti da svelare.

Un’esplosione in galleria, le urla, le lamiere, alle 19.08 del 23 dicembre 1984: furono 16 morti e 267 feriti. Sono passati 40 anni dalla strage del Rapido 904, e i parenti delle vittime chiedono sempre giustizia. “Quest’anno sono state riaperte le indagini, speriamo di conoscere finalmente la verità” dice Rosaria Manzo, presidente dell’associazione familiari. Non una commemorazione qualunque, quella di stamane alla Stazione Centrale di Napoli. Anche se si tiene ogni anno, da quattro decenni in qua. L’ansia di fare luca è ancora troppa. Perché una verità giudiziaria c’è, ma è considerata monca. Quattro condannati, tre di matrice mafiosa. Uno è Pippo Calò, il cassiere’ di Cosa Nostra. Con loro l’artificiere tedesco Friedrich Schaudinn. “Fu una strage dove lo Stato ha avuto collusioni e responsabilità non da poco” dichiara secco don Tonino Palmese, presidente della Fondazione Polis, una vita spesa in Libera con don Ciotti. “I famosi legami di cui si è sempre parlato, ma che non sono mai venuti fuori” rilancia Rosaria Manzo.

Da un lato la mafia, di fianco “chi altro?“. Nella ridda dei sospetti, c’è un compendio di quegli anni. Gli anni delle stragi impunite. Cosa Nostra, la camorra, l’eversione nera, la P2, la Banda della Magliana. E di apparati ‘deviati’ si vocifera da 40 anni. Da quella deflagrazione nella grande galleria dell’Appennino, subito dopo la stazione di Vernio. Antivigilia di Natale, in marcia tra Toscana ed Emilia Romagna. Il treno partì da Napoli, era diretto a Milano. A bordo lavoratori, famiglie. Gente in viaggio per le Feste. Come Enza Napoletano. Oggi ha 84 anni, in 40 anni ha girato l’Italia, non s’è persa una commemorazione. Ricorda “il buio, il boato”. Pochi istanti prima, invece, “si chiacchierava delle vacanze”. Per tutti i superstiti c’è un prima e un dopo strage. Uno spartiacque nella vita, fin troppo ovvio. “Non mi fermo” giura la signora Enza., “Probabilmente – aggiunge – non arriveremo a niente, però ci proviamo tutti insieme”.

Tre bambini tra le vittime. A perdere la vita molti napoletani. E allora, 40 anni dopo, qui il mantra è “verità”. Perché “il peso storico”, come ricorda Manzo, ancora schiaccia. La giovane presidente dell’associazione la chiama “strage cerniera”. Piombò tra la strategia della tensione, negli anni ’70, e le bombe mafiose anni ’90. Nella stessa galleria, anno 1974, ci fu l’attentato dinamitardo all’Italicus (12 morti). Secondo gli inquirenti, parte dell’esplosivo del rapido 904 fu usato altre volte. Per le stragi di Capaci e via D’Amelio nel 1992, per quelle del 1993 a Roma, Milano e Firenze. Ed anche nei falliti attentati all’Addaura, contro il giudice Falcone (1989) e allo stadio Olimpico di Roma (1994). “Cerchiamo una verità più faticosa della dimensione criminale del singolo attentato – sostiene don Palmese – perché di mezzo c’è una parte di Stato, che al tempo custodiva questi segreti per il malaffare“. Segreti, forse, tutti da svelare.