Si è concluso con tre condanne il processo di primo grado davanti al collegio di giudici del Tribunale di Bologna, presieduto da Massimiliano Cenni, nato dall’indagine dei carabinieri denominata ‘Cinque per mille’. Nel dettaglio sono stati condannati a sei anni, per usura ed estorsione, due cugini di 62 e 59 anni, mentre la moglie di uno di loro, 59enne, è stata condannata a due anni solo per usura (con pena sospesa). Accolte le richieste di pena della Procura (pm Augusto Borghini), mentre è caduta l’aggravante del metodo mafioso.
Vittima dei tre, tutti napoletani, una imprenditrice bolognese con una attività nel settore immobiliare, che era stata costretta a pagare mille euro al mese per 5 anni ai suoi creditori, per ripagare a un tasso d’interesse del 76% un debito di 20mila euro. Nel 2020 i due uomini (il 59enne titolare di un negozio di parrucchiere a Bologna) finirono in carcere, mentre per la donna venne disposto l’obbligo di dimora a Napoli (misure poi revocate).
L’indagine scattò alla fine del 2018 quando la vittima denunciò tutto al maresciallo che guida la stazione carabinieri Indipendenza, superando la paura delle ritorsioni e le minacce di morte rivolte a lei e ai suoi figli. Secondo quanto ricostruito all’epoca, per spaventarla e costringerla a pagare, gli indagati avevano tirato in ballo anche alcuni clan mafiosi: “Te li trovi sotto casa, sanno tutto di te, di tua figlia e di tuo figlio”.
L’imprenditrice bolognese era stata messa in contatto nel 2013 con i tre indagati, da un conoscente poi morto. Il prestito di 20mila euro le era servito per pagare alcune caselle esattoriali che aveva ricevuto, ma nei successivi 5 anni si era trovata a sborsare più di 60mila euro, tutti di interessi e senza riuscire a saldare che una piccola parte del debito.
Vittima dei tre, tutti napoletani, una imprenditrice bolognese con una attività nel settore immobiliare, che era stata costretta a pagare mille euro al mese per 5 anni ai suoi creditori, per ripagare a un tasso d’interesse del 76% un debito di 20mila euro. Nel 2020 i due uomini (il 59enne titolare di un negozio di parrucchiere a Bologna) finirono in carcere, mentre per la donna venne disposto l’obbligo di dimora a Napoli (misure poi revocate).
L’indagine scattò alla fine del 2018 quando la vittima denunciò tutto al maresciallo che guida la stazione carabinieri Indipendenza, superando la paura delle ritorsioni e le minacce di morte rivolte a lei e ai suoi figli. Secondo quanto ricostruito all’epoca, per spaventarla e costringerla a pagare, gli indagati avevano tirato in ballo anche alcuni clan mafiosi: “Te li trovi sotto casa, sanno tutto di te, di tua figlia e di tuo figlio”.
L’imprenditrice bolognese era stata messa in contatto nel 2013 con i tre indagati, da un conoscente poi morto. Il prestito di 20mila euro le era servito per pagare alcune caselle esattoriali che aveva ricevuto, ma nei successivi 5 anni si era trovata a sborsare più di 60mila euro, tutti di interessi e senza riuscire a saldare che una piccola parte del debito.